NATO IN TUNISIA
PRISON CHRONICLES / 2017
SH
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Sono nato a Beja, a N.E. della Tunisia al confine con l’Algeria, nel 1959. Siamo sei fratelli e tre sorelle, io sono il quarto genito. Beja è una zona agricola che produce: grano, girasole, cereali e molta frutta e verdura. La zona è molto ricca e ci sono molti proprietari terrieri. Il papà era un agricoltore e la mamma, a casa, cresceva i figli. Noi non eravamo ricchi, ma il campo dello zio, dove lavorava mio padre, ci permetteva di mangiare e stare bene. Ogni anno, in estate, le donne facevano la salsa di pomodoro, il couscous e tutto veniva messo via per l’inverno. Facevamo l’olio e mettevamo sotto sale le olive. Il papà è morto che io avevo circa 16 anni, ma i fratelli più piccoli avevano 4 e 7 anni. Mia madre non si è più risposata e ci siamo sempre aiutati uno con l’altro. In estate, fin da piccoli, quando finiva la scuola lavoravamo con papà nella tenuta che lo zio aveva in campagna. C’erano molti animali: mucche, pecore, ecc.. Lo zio aveva una casa colonica con ogni tipo di albero da frutta. A tre anni andavamo alla scuola coranica dove imparavamo a leggere e a scrivere. A sei anni andavamo a scuola. Ho frequentato fino alla sesta, poi sono andato avanti fino ai 15 anni. La scuola insegnava sia l’arabo che il francese e la scuola è francese, molte materie infatti vengono fatte in lingua francese. La scuola durava dalle 8,00 alle 17,00, poi si tornava a casa, ma non finiva l’impegno dello studente, dovevamo fare i compiti per l’indomani e venivamo controllati dal papà prima e dalla sorella maggiore poi. La mamma aveva invece il compito di non farci uscire quando dovevamo studiare e di controllare che seguissimo la retta via. Questo da quando è morto mio padre. Io ho sempre avuto l’hobby di prendere gli uccelli e metterli in gabbia per sentire il loro canto; a volte al mattino trovavo la gabbia vuota; mio padre li aveva liberati e mi rimproverava dicendo: “a te piacerebbe essere chiuso in una gabbia?”. Io poi ne cercavo degli altri; a me piacevano tutti gli animali. Per noi le ferie erano andare nella casa colonica dello zio che era in riva al fiume. Durante il periodo della scuola ero molto vivace e a volte il preside chiamava i miei genitori. Preferivo il gioco alla scuola. Io al preside raccontavo di non avere nessuno, né genitori né zii, così nessuno dei miei veniva a sapere se avevo fatto qualche marachella. Tra fratelli si litigava, ma a cena ci si riuniva tutti e tutti mangiavamo da quel grande piatto che la mamma aveva cucinato e che veniva messo in mezzo al tavolo. Vedevo la vita come tutti i ragazzi di quell’età. A quel tempo non volevo cambiare la mia vita; mi piaceva l’agricoltura, andare nell’orto e pensavo che da grande avrei fatto il lavoro di mio padre. Non pensavo allora di lasciare la Tunisia, ha un bel clima, anche umido, al mio paese ad esempio pioveva molto. Il mio paese distava dal mare circa 60 Km e qualche volta papà, quando era libero dal lavoro, ci portava. Avevo 16 anni quando mi è incominciata a venire l’idea di emigrare in Italia. Leggevo giornalini europei, leggevo giornali, guardavo Rai1 in Tv. Vedevo nell’Italia un mondo diverso, diversi i modi di vestire e di mangiare. Vedevo che tutti avevano moto e macchine, ero attirato dl modello europeo. Anche la musica europea degli anni 70/80 mi piaceva. Intanto saltuariamente lavoravo col papà. Ero molto limitato dall’asma, che mi faceva stare molto male, non potevo fare sforzi, dovevo continuare a prendere le medicine. Sono anche stato ricoverato in ospedale. Il clima umido non aiutava con la mia patologia. Nel 1987, a 28 anni, decido di partire per l’Italia. Ho comunicato a mia madre e ai miei fratelli che sarei partito. Non so ancora come ho maturato quell’idea... nei miei pensieri c’era di arrivare in Italia, lavorare qualche mese e poi andare in Francia, dove avevo un amico. Sono partito con il visto consolare e mi sono regolarmente imbarcato alla volta di Genova. Mi sono imbarcato con un amico e, arrivati a Genova, siamo andati all’ostello con la carta internazionale degli studenti. Abbiamo fatto piccoli lavori in cui siamo stati sicuramente sfruttati; ad esempio ci hanno dato da portare i sacchi di cemento fino al 4° piano. A me comunque all’inizio bastavano i soldi per mangiare e dormire. Il mio amico invece non la vedeva come me. Poi siamo andati un po’ in giro per l’Italia, un po’ per conoscere l’Italia, un po’ per cercare lavoro. Al sud era più facile trovare lavoro in ambito agricolo. Il fascino determinato dalla ricca Europa pian piano si andava sgretolando. Dovevo fare i conti con molte difficoltà: una volta mangiavo e una volta no e spesso ero costretto a dormire all’aperto. Fino al ’90 non sono mai tornato in Tunisia. Al sud ho trovato gente molto accogliente, non ti lasciavano senza mangiare. Mi ricordava molto il mio paese. Ho imparato l’italiano parlando con la gente. Mi è sempre piaciuto comunicare, confrontarmi con gli altri e questo mi ha aiutato molto. Nella zona di Foggia ho incontrato un amico che mi ha detto che in Alto Adige è possibile trovare lavoro come raccoglitori di mele e così sono partito alla volta di Merano, dove poi mi sono stabilito. Mi sono trovato a dover affrontare un nuovo scoglio: la lingua tedesca, ma ho fatto come per l’italiano, ascoltando molto le persone che parlavano. Ho cominciato a raccogliere mele e a lavorare negli alberghi. A quel tempo il lavoro non mancava! La salute non mi aiutava molto, le allergie mi creavano problemi, dovevo prendere sempre medicine e qualche volta ho dovuto essere ricoverato. Mi piace lavorare, non mi è mai venuto in mente di dire:” questo lavoro non mi piace”. Ho sempre accettato quello che mi hanno offerto e l’ho fatto con piacere. Ho sempre avuto la massima disponibilità ed elasticità. È arrivato il giorno in cui ho trovato un lavoro fisso, ero contento, appagato. Ho lavorato per dieci anni senza problemi, sempre disponibile, il lavoro mi piaceva e mi dava soddisfazione. Mi sono anche sposato, un matrimonio durato poco, circa due anni. Ma la mia vita procedeva, ogni giorno il lavoro mi aspettava. È arrivato però il brutto giorno in cui a causa della crisi ho perso il lavoro. Mi sono trovato perso! Ho provato a cercare ma il momento congiunturale e la mia età ormai un po’ avanzata non aiutavano. Tutto questo ha rappresentato la causa del mio scivolone!!! Ho sbagliato, ho commesso un reato e sono stato preso e messo in carcere. Non posso lamentarmi che mi abbiano inflitto una pena, chi commette un reato deve essere punito. Lo dice anche il Corano e io sono religioso e mi affido a Dio per gli errori commessi. Aspetto con pazienza il trascorrere del tempo perché finisca la pena (ormai è questione di un mese) nella speranza di trovare il lavoro quando uscirò.
RORHOF