PRISON CHRONICLES / 2009 N.5
VITA DI STRADA
E.
------
Conosco la vita di strada da quando sono nato. Mia madre dopo avermi partorito è stata costretta a lasciarmi per strada. Era povera aveva troppi figli da mantenere e non aveva il tempo da dedicare ai più piccoli. Così è stato il freddo della strada ad accogliermi e le braccia di mio fratello erano l’unica mia sicurezza, l’unica garanzia di sopravvivenza.
Avevo ancora gli occhi chiusi all’inizio, ma man mano che crescevo davanti a me ho visto solo miseria: gente che faceva la propria casa nei bidoni, dormiva nei cartoni.
Per un pezzo di pane la gente si accoltellava. Queste erano le favelas in cui sono nato: miseria, violenza e sopraffazione.
Non provavo più nemmeno paura, mi ero assuefatto, così era quella vita, la mia vita.
Un’esistenza più simile a quella degli animali che non degli esseri umani. Per un certo periodo di tempo ho trovato chi mi ha tolto dalla strada, io però continuavo a sentire il fascino di quella strada che era stata la mia culla.
Così scappavo per tornare a viverci, senza regole, con tutte le contraddizioni che questa impone.
Questa vita mi ha portato a non riuscire a sopportare le regole, almeno quelle imposte che contesto quasi per principio. Sono in rado di accettare solo le regole che mi do da solo.
Quando sono arrivato in Italia per i primi tempi dovevo imparare a conoscere il mondo in cui ero arrivato. Qui la strada mi faceva paura perché era sconosciuta, come era sconosciuta la gente che la frequentava. Un clima diverso, qui era freddo e non sapevo come si combatteva, ho visto per la prima volta la neve e non capivo cosa ci trovassero i locali di bello, per me era solo tanto fredda. L’unica cosa che mi tranquillizzava era la pioggia, perché in Brasile pioveva tanto. Quando da dietro ai vetri di casa vedevo cadere la pioggia, pensavo al mio paese, per rivedere le palme da cocco, le canne di bambù e gli alberi di banane.
Pian piano incomincio a conoscere anche qui la strada e la gente che la frequenta, il mio corpo gradatamente si è assuefatto anche al freddo. Quando ho imparato questo sono tornato a vivere per strada, che riconoscevo come il mio ambiente, l’unico che mi poteva aiutare a vivere in un mondo tanto diverso da quello che avevo lasciato e che fantasticavo di raggiungere attaccato ad un’ala di aereo visto che non avevo i soldi per pagarmi il biglietto. Ma forse anche li oggi risulterei uno straniero. Dovrei ricominciare da capo in un mondo che solo nella mia fantasia è familiare, ma che negli anni è tanto cambiato.
Resta però la costante della strada e della mia vita per strada.
Ho anche pensato di voler avere una famiglia tutta mia, ma ho visto che questo causa tante sofferenze e io non sono pronto ad affrontarle, preferisco buttarmi tutto dietro le spalle per non soffrire, a volte anche per non ricordare.
La strada porta in carcere ed io sono entrato più volte.
Non avere un appoggio e vivere alla giornata porta a queste conseguenze.
Sarà capace un uomo che è nato e cresciuto nelle strade polverose delle favelas di cambiare il corso della sua vita?
Questa è la domanda che ricorre spesso e che a volte logora la mia mente.
RORHOF