PRISON CHRONICLES / 2010 N.7
QUALCOSA DI PERSONALE. SENSAZIONI E OSSERVAZIONI.
El Tano
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Mi è stato chiesto di scrivere un articolo per Voci dal Silenzio. Ho pensato a lungo quale argomento descrivere per non cadere nell’ovvietà e nella retorica, ragione per cui non avrei voluto scrivere del carcere, ma trattandosi di una rivista scritta da detenuti cercherò di attenermi a questa tematica anche perché sono convinto che ognuno viva la detenzione in maniera diversa e questo comporti innumerevoli punti di vista che possono trasmettere sensazioni nuove ed originali. Non parlerò qui del reato che mi ha portato in carcere, descriverò piuttosto alcune mie osservazioni personali riguardanti esclusivamente la detenzione. Mi sono costituito 13 mesi fa, nel novembre 2009. Essendomi presentato di mia spontanea volontà all’ingresso del carcere con una condanna definitiva e sapendo, come si suol dire, “di che morte dovevo morire” ed avendo nei lunghi anni del processo considerato l’eventualità di “finire dentro” preparandomi a quest’evento posso affermare di aver iniziato la carcerazione in modo quasi rilassato e con uno stato d’animo consapevole, nel limite del possibile, di che cosa andavo in contro. Molti altri detenuti, mi riferisco alla maggior parte di coloro che si trovano in detenzione cautelare, agli appellanti od ai ricorrenti che non conoscono ancora la loro sorte, si trovano in uno stato psicologico di ansia, forte stress e talvolta depressione, cosa decisamente comprensibile. Posso ritenermi “fortunato”, sia pure privato della Libertà, per aver cominciato questo buio periodo della mia vita nel miglior modo possibile. Veniamo ora alla detenzione vera e propria. Quando ero in Libertà la domanda che mi sono posto più frequentemente è stata: - La galera mi cambierà? – e – Se si, come? – Si vive per migliorare ed il mio timore era ed è tuttora quello di poter generalmente peggiorare. Le stesse domanda ho posto ai famigliari che venivano a trovarmi e ad alcuni operatori del carcere, ho chiesto loro dopo alcuni mesi se mi trovavano diverso, cambiato nel ragionare, nel relazionarmi con loro, nell’umore e nello spirito. Di certo è che io mi sento più freddo. In quest’anno di carcerazione ho premuto il tasto pausa sui sentimenti, sui desideri, tanto che ogni qualvolta un sogno si approssimava alla mia mente, resomene conto, immediatamente lo scacciavo. Non so se sia così per tutti, il mio pormi in “stand-by” è stata una scelta razionale data dalla consapevolezza di aver aperto una parentesi oscura nella mia vita, ma anche dalla volontà, una volta terminato questo capitolo, di proseguire la mia esistenza nel miglior modo possibile senza rimuginare sul trascorso carcerario, ma al contrario portando con me solo il minimo indispensabile di questo frangente, ossia tutte quelle esperienze ormai inscindibili dalla mia persona, come a voler “saltare” questo periodo a priori. Un’altra considerazione che ho fatto spesso prima di costituirmi era quante cose facevo in Libertà durante un giorno, un mese, un anno e mi chiedevo come e con che velocità sarebbero passati gli anni venturi in cella. Trovo che la psiche umana sia incredibile per la facilità di adattarsi agli eventi, soprattutto a quelli meno piacevoli. O almeno così è stato per me. Quasi mi imbarazza dirlo, ma quest’anno e poco più di detenzione è “volato”. Potrei suddividerlo in quattro fasi. La prima è l’ingresso e le settimane immediatamente successive in cui, nonostante l’ambiente ristretto, tutto era nuovo. Mi guardavo intorno con gli occhi di un bambino che impara a conoscere ciò che lo circonda. La seconda fase è stata l’abituarsi a gestire ed impegnare le giornate, lunghe e noiose, prive di alcuno stimolo; ho così iniziato a darmi da fare per tenere corpo e mente impegnati rispolverando le mie capacità artistiche nel disegno. Ho dipinto molto, soprattutto ritratti di fidanzate, mogli e figli di altri detenuti riscuotendo un certo entusiasmo da parte loro. Tanto che, pare incredibile, le ore della giornata non mi bastavano per accontentare tutti. Quando pure questa fase stava scivolando nella routine ecco aprirsene una nuova, la terza. Un giorno di maggio, trascorsi sei mesi, un detenuto mi chiese stato interessato a lavorare presso l’Ufficio Conti – correnti dell’Istituto poichè un altro detenuto addetto allo stesso ufficio sarebbe stato trasferito di lì a poco. L’opportunità si presentò al momento giusto e la colsi con entusiasmo. La mia carcerazione cambiò radicalmente in meglio. Il lavoro, oltre alle responsabilità, comportava non poche libertà in più. Principalmente passare molto meno tempo in cella potendo spaziare un po’ di più all’interno della struttura. Può sembrare ridicolo per chi non ha mai subito la detenzione, ma anche la possibilità di fare la doccia la sera (soprattutto in estate quando ci sono oltre 30 gradi di temperatura e normalmente ci si può lavare solo fino alle 15:00!) e di andare in palestra sempre la sera quando c’è un numero esiguo di detenuti lavoranti che la frequentano è un salto di qualità non da poco. La quarte fase la sto vivendo ora. Da due settimane mi trovo in semi-libertà. É iniziato un nuovo percorso. Non posso ancora dire molto perchè appena sto cominciando ad abituarmi. Indubbiamente è anch’esso un grosso passo in avanti. Esco alcune ore per andare a lavorare e faccio rientro in carcere per i pasti e per la notte. Ammetto di essere ancora un po’ scombussalato da questo cambiamento, ma, e qui sarò volutamente retorico, è molto più facile e dolce riassaggiare la Libertà che non doversi abituare alla detenzione.
RORHOF