IN CARCERE A BOLZANO
PRISON CHRONICLES / 2011 N.9
FB
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Sono un detenuto, uno dei 67.000 e passa detenuti in tut- ta la penisola. Torniamo per l’ennesima volta al sovraffollamento, per affrontare altri problemi che questo determina, come l’impossibilità di un minimo di privacy che sarebbe necessaria a ricaricarsi emotivamente e aiutare così lo spirito di ognuno di noi a riossigenarsi, ritrovare la propria identità di persona per affrontare con un po’ di dignità questa clausura forzata. La mancanza di uno straccio, ma dico di uno straccio, di un qualsiasi tipo di occupazione, per evitare anche una conti- nua tortura psichica oltre che materiale, cioè non avere un minimo guadagno.. Sto scrivendo dal carcere di Bolzano e sono in attesa di tornare a Porto Azzurro, devo dire la differenza tra le due strutture, si può dire anche poca, ma in questo contesto diventa molto importante. Il vitto ad esempio, anche se gli ingredienti sono i medesimi, la differenza si vede nella tecnica della cottura di tali ingredienti, che poi è la cosa ba- silare della cucina. Faccio un esempio banale: un risotto che qui a Bolzano è più che mangiabile, a Porto Azzurro fa schifo, crudo, senza un minimo di condimento e sale; così per il pesce, sull’isola fa schi- fo, senza disprezzare il cibo in se stesso. Consideriamo che tutto questo deve essere sopportato per mesi, se non per anni, creando un tipo di tortura che rallenta le cognizioni psico-fisiche di una persona, che per difesa il più debole diventa un vegetale. Per questi motivi penso che una delle tante cose che il governo dovrebbe fare sia quella di catalogare la popolazione carceraria in vari gruppi, basandosi sull’indole oltre che sulla tipologia del reato di ogni carcerato per così regolarsi in modo più logico.
RORHOF